Dagli anni 70 e le ondate dei movimenti femministi diffusosi in Europa e nel mondo molte cose sono cambiate ma tanta ancora rimane la strada da percorrere. Da quanto emerge in un confronto tra Italia e l’Olanda, nostra terra d’adozione, sulle pari opportunità in ambito lavorativo sfortunatamente la nostra patria natia, come facilmente prevedibile, si colloca agli ultimi posti in classifica.

Il tasso di occupazione femminile risulta di 11,5 punti inferiore rispetto alla controparte maschile con circa meno della metà della popolazione occupata contro il 62% della media europea. Questa notevole disparità non si ferma solo alla differenza di occupazione perché anche la percentuale di quelle effettivamente attive deve scontrarsi con ostacoli di varia natura che a partire dalla gender gap salariale fino alla difficoltà di accesso alle posizioni di vertice. Le donne italiane sul lavoro risultano infatti vittime di numerose diseguaglianze (salariali e non solo) e discriminazioni che rendono sempre più tortuoso e complicato il raggiungimento di posizioni di alto livello imbattendosi continuamente in quello che viene definito “il soffitto di vetro”, espressione coniata per indicare ostacoli alla carriera dovuti a ogni genere di discriminazioni e che impediscono alle persone di occupare le posizioni dirigenziali e ai vertici manageriali. Si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di persone altamente qualificate e il problema, come si può facilmente intuire coinvolge fortemente la componente femminile attiva nel mercato del lavoro, che pur avendo skills e curricula del tutto paragonabili ai loro colleghi uomini, risultano spesso destinatarie di atteggiamenti discriminatori a causa dei quali viene talvolta impedito il raggiungimento di una posizione top level.

Uno dei fattori principali che influenza notevolmente questi risultati è il problema della conciliazione vita privata – lavorativa da sempre un elemento significativo che ancora oggi riguarda, in maniera quasi del tutto esclusiva, le donne. L’impegno lavorativo e il lavoro di cura famigliare portato avanti delle donne tende ancora oggi a essere dato essenzialmente per scontato senza ricevere nessun riconoscimento. La tematica della conciliazione, si denota essere uno snodo fondamentale in assenza del quale non si può giungere alla risoluzione del problema occupazionale femminile. Si ravvisa l’esigenza di coniugare il dibattito culturale sul nuovo welfare in un’ottica che consenta di uscire dall’equivoco che la questione della doppia presenza sia un problema che attiene solo alla sfera femminile e privata, in quanto invece si tratta di un sistema denso che chiama in campo vari elementi per cui occorre proporre e consolidare approcci di diversity management improntati sulla gender equality. Una proposta utile sarebbe quella di riconoscere socialmente alcuni comportamenti legati alla conciliazione di responsabilità private e lavorative, come importanti per la comunità, assicurandone una misura del valore sociale apportato. E proprio alla base di queste motivazioni sembra essere condotta la scelta delle donne olandesi che per la maggior parte, fino a un ammontare del 76%, decidono di lavorare part-time ottenendo notevoli vantaggi quindi nella gestione del tempo libero a disposizione che si ripercuote positivamente anche sulla produttività nelle ore lavorative effettuate. Nonostante cio e un tasso di occupazione femminile sicuramente di gran lunga superiore a quello italiano anche in questa situazione apparentemente più rosea dobbiamo considerare il rovescio della medaglia.

Diversamente da quanto si potrebbe credere in un paese come l’Olanda, che risulta uno dei più all’avanguardia per quanto riguarda la parità dei sessi nel contesto sociale, lo stesso sembra non potersi dire in quello del lavoro. Da vari studi condotti risulta infatti che anche qui il mercato del lavoro discrimina le donne: dato che viene fuori da una, non irrilevante differenza di salario tra i due sessi. Il gender pay gap infatti si stima essere pari a quasi il 40% con un salario mensile medio pari al 61% di quello maschile contro una media del 68% nel resto dell’UE. Conseguentemente ne risulta che le donne contribuiscono solo marginalmente alla crescita del PIL del Paese, nonostante sia stato dimostrato che una prospettiva maggiormente inclusiva in questo settore corrisponderebbe  a un boom di non pochi miliardi di euro.

Sono gli aspetti appena delineati che occorre tenere in considerazione per sostenere e incentivare il ruole delle donne in tale ambito. Favorire l’occupazione femminile è un intervento necessario che oltre a giovare alle politiche di genere, contribuisce in maniera concreta alla crescita economica e lo sviluppo di un Paese.  Alla luce di queste considerazioni quello che emerge è, che per quanto i motivi e le condizioni possano essere diverse, che risulta ormai indispensabile prendere coscienza delle potenzialità delle nuove dinamiche lavorative di cui le donne sono sempre più protagoniste, fornendo politiche d’incentivazione che consentano loro di raggiungere l’empowerment necessario per smantellare le disuguaglianze in un’economia globale, che necessita imprescindibilmente del loro contributo per costruire un futuro più sostenibile per tutti.

 

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