Passare dall’auto alla bicicletta si può. Parola di Paolo Ruffino, ventiseienne torinese espatriato in Olanda nel 2014 per occuparsi di sostenibilità, mobilità urbana e, soprattutto, mobilità ciclabile. Un tema di estrema attualità, ma ancora controverso in Italia, specialmente se si mette a confronto la realtà dello stivale con quella olandese.
Investieringsagenda Fiets Team, Stasregio Amsterdam

Investieringsagenda Fiets Team, Stasregio Amsterdam

“Ho presentato il mio progetto al comune di Torino, ad architetti e a diverse società di consulenza, ma ho avuto solo porte in faccia. Allo Stadsregio Amsterdam (la Città Metropolitana di Amsterdam, ndr), 48 ore dopo la mia proposta, hanno deciso di finanziare il mio progetto e mi hanno messo a disposizione un budget da gestire entro il 2016, in un team di giovani under 30″, racconta Ruffino a Italianradio.eu. Una resistenza, quella italiana, frutto di una mentalità ancora radicata in modelli di pianificazione centralizzati e tecnici degli anni ’50 e ’60, perfetti in un’ottica di mobilità su automobile, ma non applicabili quella ciclabile.

“L’approccio che serve, oggi, è quello delle scienze sociali. Bisogna osservare come la gente si sposta e come vive lo spazio pubblico”, prosegue. Il metodo rimane scientifico, ma l’approccio diventa umanistico: le esigenze di pedoni e ciclisti su strada sono completamente diverse da quelle degli automobilisti e la realtà urbana va ripensata  secondo quelle dei primi.

Un traguardo non facile da raggiungere, neanche per il paese che oggi vanta 16 milioni di km di piste ciclabili, un piano di investimenti a dieci anni (2015 – 2025) che – compresi i contributi di Rijks e Gemeente – supera i 500 milioni di euro per la sola area metropolitana di Amsterdam, 16 dei quali spesi nell’ultimo anno.

“50 anni fa l’Olanda era come Torino oggi –  continua – e tutti i partiti erano a favore dell’auto. La destra perché vi vedeva il trionfo del capitalismo, la sinistra, invece, il simbolo della liberazione dalle classi lavorative”. Nel 1972, però, arriva lo scontro con la realtà delle città piccole, dense e piene di canali, con più di 400 bambini deceduti a causa di incidenti stradali (lo 0,03 per cento della popolazione in quell’anno, un numero pari alle persone morte durante l’attentato delle Torri Gemelle).

L’idea di mobilità andava dunque ripensata e dirottata verso l’individuo come nucleo fondamentale dello spazio urbano. Il metodo ingegneristico, a partire dagli anni ’70, lascia così spazio al polder model, cioè un modello basato sul consenso e sull’autogestione. “La definizione degli obiettivi in sede di pianificazione non poteva prescindere dal contributo di scienziati sociali, psicologi, scienziati ambientali, politologi”, spiega ancora Paolo. “La gente ha iniziato a riappropriarsi degli spazi e sta creando dei movimenti, generati dal basso, che vanno oltre lo Stato.

In tema di mobilità e sostenibilità, un esempio attualissimo è il Green Office, nato proprio in Olanda. Ideato da Felix Spira, giovane tedesco studente presso l’Università di Maastricht, conta oggi più di 20 uffici in Europa e opera dall’università, sull’università e più largamente sulla società. L’ufficio favorisce il dialogo tra lo Stad universitario e gli studenti che impattano direttamente sulla vita del campus, mettendo insieme la ricerca accademica con start-up, associazioni e organizzazioni, in un’ottica, appunto, student-driven. A livello Europeo, tutti gli uffici sono coordinati da rootAbility, che ne definisce visione, missione e attività.

Paolo Ruffino cola sua bici a Museumplein, Amsterdam

Paolo Ruffino con la sua bici a Museumplein, Amsterdam

“Sono riuscito a portarlo nella mia città”, sorride ancora Paolo. Dopo aver collaborato con il Green Office di Utrecht, il giovane torinese è infatti entrato in contatto diretto con i coordinatori, per poi fondare, insieme alla collega Giorgia Silvestri, un expansion team a Torino.  “Grazie all’attitudine savoiarda del Rettore siamo riusciti ad aprire l’ufficio. A Bologna non abbiamo avuto la stessa fortuna”, specifica.

E proprio in questa spinta bottom-up risiede, secondo l’esperto, lo scarto tra Olanda e Italia: una società orizzontale, pienamente europea, in cui lo stato ha una funzione di incentivatore da un lato; una società paternalistica, in cui c’è un conflitto generazionale latente, dall’altro. “Da scienziato politico, mi rendo conto che in Italia, negli ultimi 10 anni, stiamo assistendo a quello che gli inglesi definiscono tipping point. E anche in tema di svolta bike friendly, la vecchia classe politica si scontra con le nuove generazioni e la società sta in bilico tra l’una e l’altra direzione”, conclude.

La strada è impervia, dunque, ma la motivazione è tanta. Diverse, infatti, le iniziative portate avanti da Ruffino per sensibilizzare le forze politiche italiane in tema di mobilità green tra cui la presentazione di progetti direttamente a esponenti politici di alcune importanti città italiane (Trento, Verona, Milano e Torino) per Decisio, una società che punta a promuove la bikenomics nello Stivale.

Obiettivo finale? Conquistare l’Italia, esportando il modello Dutch.

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