Nella tarda notte del 21 Marzo é stata nuovamente tesa una mano verso la Gran Bretagna. Tra i 27 leader del Consiglio europeo e la Premier Theresa May si é infatti concordato di posticipare la Brexit al 12 Aprile, data entro la quale il Parlamento inglese dovrá fare chiarezza in merito all’ intenzione di un’ uscita con o senza accordo dall’UE.


All’interno dell’ Unione si sono prospettate due linee di condotta tra i Paesi favorevoli ad intraprendere una “no-deal Brexit”, divisione senza accordo, ed i fautori di una negoziazione diplomatica. Tra questi l’Olanda, preoccupata per le conseguenze economiche che una Brexit messa in atto attraverso la linea dura potrebbe avere. Intimoriti sono anche i cittadini dei Paesi Bassi, come dimostra un sondaggio condotto dalla Fondazione tedesca Bertlesmann, dove il 34% degli intervistati ha sostenuto che la separazione con il Regno Unito comporterá conseguenze svantaggiose per il proprio Paese. Le stime del FMI sembrerebbero giustificare tale perplessitá: la Brexit rischierebbe di far perdere all’UE 221,13 miliardi di euro di ricchezza e 10 miliardi a causa dell’aumento della disoccupazione, essendo prevista la perdita di circa 1 milione di posti di lavoro. L’Olanda potrebbe rimetterci in termini di PIL dal 3,5 al 5%, in base alle tempistiche delle trattative di negoziazione. A preoccupare la nazione dei tulipani sono anche le prospettive di diminuzione dei rapporti commerciali, nei quali l’Olanda ha rappresentato, dal 2000 al 2017, il partner economico europeo che ha assorbito il 15% degli scambi con la Gran Bretagna. Probabilmente, saranno state tali incertezze a spingere inizialmente il Primo Ministro olandese Mark Rutte a definire la Gran Bretagna “un sonnambulo che cammina verso la Brexit senza accordo”.

Piú recentemente, lo stesso ha invece cambiato registro, esprimendosi fiducioso in merito ad un negoziato pacifico tra la Premier May ed il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Avrá influito l’attuale ruolo chiave dell’Olanda per tutte le imprese che decidono di chiudere i battenti in Gran Bretagna e trasferirsi in altri stati membri, al fine di preservare la propria posizione nel mercato libero europeo. La Sony ha spostato la sede europea nei Paesi Bassi per, come ha dichiarato il portavoce al Financial Times, “garantire continuitá nelle operazioni”. E’ stato reso noto che la societá registrata a Dicembre si fonderá con Sony Europe (sede presente in UK) entro la fine di questo mese, scongiurando il rischio di licenziamento del personale e, in base al sistema fiscale olandese, continuando a pagare parte delle imposte nel Regno Unito. Anche Panasonic ha trasferito a Settembre la propria collocazione europea ad Amsterdam, seguita da Nomura, Daiwa Securities, Sumitomo e Mitsubishi UFJ Financial.

Per scoprire il futuro delle imprese attive in UE non resta che attendere il fatidico 12 Aprile. Un’ennesima bocciatura da parte del Parlamento inglese metterebbe ulterioremente alle strette Theresa May, anche in merito al ruolo della Gran Bretagna nelle imminenti elezioni europee. Un’influenza attiva dei cittadini inglesi nelle votazioni del 26 Maggio sembrerebbe inopportuna, in quanto si troverebbero a determinare le sorti di una comunitá della quale hanno scelto di non fare piú parte.

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